A cento anni di distanza dalla pubblicazione dell’originale, Tre Editori ha dato alle stampe una nuova traduzione del Golem di Gustav Meyrink (1868-1932), a cura di Anna M. Baiocco. Questa edizione, corredata dalle splendide illustrazioni originali di Hugo Steiner-Prag, copre un vuoto, in quanto la traduzione di Carlo Mainoldi per Bompiani (1977) è andata fuori stampa da tempo. La professoressa Baiocco, che insegna Letteratura Italiana a Vienna ed è una profonda conoscitrice dell’opera di Meyrink, ha voluto non solo riportare all’attenzione del pubblico italiano un’opera che all’epoca conquistò un enorme successo, ma anche permettere al lettore di comprendere un testo di grande complessità, attraverso una serie di note e rimandi esplicativi.
A dispetto dell’omonimia, il libro di Meyrink non ha legami con le famose pellicole di Paul Wegener, la prima delle quali distribuita proprio mentre il Golem veniva pubblicato a puntate sulla rivista Die weissen Blätter. Anzi, la figura mitologica ebraica compare di rado nel romanzo, svolgendo più che altro il ruolo di impersonatore degli spiriti e del misticismo che aleggiano nell’area del vecchio ghetto praghese (non a caso demolito alla conclusione del romanzo).
La trama ha una cornice narrativa, essendo inscritta in un sogno (o allucinazione) dell’anonimo protagonista. Questi, dopo aver scambiato per errore il cappello con l’anziano intagliatore di gemme Athanasius Pernath, si ritrova nei suoi panni, trent’anni prima, per opera di un misterioso processo di “metempsicosi in vita” associato ai riti della Cabala. Pernath (nomen omen, come quasi tutti quelli del romanzo: Athanasius significa “immortale” in greco antico, mentre Pernath è un cognome molto diffuso, da persona comune) vive nel ghetto di Praga, luogo tenebroso e in cui si nascondono segreti inconfessabili, tra cui le apparizioni del golem, entità magica che si manifesterebbe ogni trentatré anni, portandosi dietro morte e desolazione. Pernath trova aiuto nella figura del rabbino Schemajah Hillel, figura archetipa della bontà e padre dell’amata Mirjam; di converso è vittima delle trame del malefico rigattiere Aaron Wassertrum, al punto da essere incarcerato per un crimine che non ha commesso (elemento semi-autobiografico, perché Meyrink trascorse due mesi e mezzo in carcere per frode). Un complesso intreccio di eventi e circostanze porterà la trama alla risoluzione conclusiva, con la maggior parte dei personaggi che scompaiono assieme alle macerie del ghetto.
L’ambientazione, curatissima ed evocativa, costituisce assieme all’intreccio un pretesto per divulgare al grande pubblico le complesse teorie cabaliste di cui Meyrink fu conoscitore ed iniziato. Non casualmente, la prima diffusione in Italia del testo fu dovuta a Julius Evola (1898-1974), esperto di dottrine esoteriche ed occultismo. La Praga di Meyrink non è quella di Kafka, ma una realtà magica ed inquietante che lascia presagire – perdonate l’anacronismo – le sciagure che l’avrebbero coinvolta nei decenni successivi, dalla Grande Guerra in poi. Il pubblico di oggi potrebbe avere difficoltà ad entrare nella mentalità occultista di oltre un secolo fa, ma la cura rivolta alla traduzione e la ricchezza delle note a piè di pagina (senza contare l’introduzione e la postfazione), permetteranno a chi legge di indossare il cappello di Athanasius Pernath e ritrovarsi nei luoghi del romanzo.
Alessandro Ferri