L’arpa di Davita, il grande romanzo di Chaim Potok: mazal tov!


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Non ho mai prediletto i libri sulla Shoah; belli, per carità, ma espressione di un vittimismo troppo ostentato. Nei lager non morirono solo ebrei, e di malati mentali, omosessuali, prostitute e apolidi se ne parla sempre poco; così lo scetticismo nei confronti dei libri in cui compare il binomio ebrei-guerra viene spontaneo.

Iniziato a leggere forse più per vanità che per altro, dietro il consiglio è un libro per te, sembri proprio tu, ho adorato invece L’arpa di Davita di Chaim Potok, che è subito finito nella lista dei libri da non dimenticare.

E’ un romanzo di formazione: narra la crescita, fisica e intellettuale, di Ilana Davita, una bambina di 8 anni, figlia di madre ebrea non credente e padre giornalista originario del Maine, uniti insieme dal sogno comunista. Una famiglia comunista, mezza ebrea, a New York negli anni ’30-’40. I genitori sono iscritti al partito e Marx ed Engels sono oggetto di studio durante le loro riunioni serali. Costretti a cambiare abitazione più volte, i loro appartamenti sono teatri di incontri, arrivi e partenze. A scandire tutto, come se fosse la melodia di un film, il suono dolce dell’arpa eolia, che suona ogni volta che la porta di ingresso si apre.

Ilana Davita diventa spettatrice – e protagonista – di ciò che sta ccadendo nel mondo in quegli anni: in Europa sta dilagando la guerra con l’affermarsi dei regimi totalitari e l’America capitalista sembra non esserne toccata. I genitori credono fermamente nell’avvento di una società più giusta e nella fine del capitalismo, osannando le utopistiche idee di Marx come uniche vie di fuga.

Curiosa e perspicace, Ilana oscilla tra un’infantile immaginazione e tra uno spiccato bisogno di informarsi, leggere i giornali e conoscere meglio la realtà; è amorevole la sua curiosità riguardo al significato delle parole e altrettanto affettuose le spiegazioni etimologiche della madre, in quanto ogni cosa ha un nome Ilana, e i nomi sono molto importanti: puoi immaginare qualcosa che non abbia un nome? E poi, cara, ogni cosa ha un passato. Ogni cosa – una persona, un oggetto, una parola – ogni cosa. Se non conosci il passato non puoi capire il presente né programmare adeguatamente il futuro.

A volte sembra quasi di sentire il suono dell’arpa eolia, o il rumore degli zoccoli degli stalloni su una spiaggia rossa raffigurati in un quadro, tanto le descrizioni sono dettagliate e tangibili; il kaddish cantato in sinagoga o le lezioni di ebraico nella yeshivah, il respiro di Zio Jacob di notte nella stanza accanto, intento a scrivere i suoi racconti.

Sconvolta da varie vicende, Ilana inizia a considerare la religione uno dei tanti modi per conoscere il mondo, le persone, i fatti. Poco a poco, si viene a conoscenza di una cultura che, per chi come me ne è estraneo, non può far altro che affascinare, tra le sue tradizioni e le sue leggi; Potok mostra i fanatici, i tradizionalisti, i riformatori, gli indifferenti, ognuno parte di una stessa comunità. E Ilana, in tutto ciò, priva di un’educazione religiosa, si colloca in un angolino a parte, rifiutando il passivo ipse dixit; non comprende la divisione maschi-femmine in sinagoga ma apprezza le candele accese nel buio e lo stare insieme attorno ad una tavola; la Torah e il Talmud non sono altro che libri, e da libri vanno trattati: è letteratura, ammette più di un’interpretazione e alle spalle vi è un autore.

Un libro denso di stimoli e riflessioni, per una narrazione coinvolgente e accattivante. Potok riesce a riempire pagine ricche di immagini, spaziando da scene di guerra a squarci di vita quotidiana. E’ una lettura che appassiona così tanto che non si vede l’ora di sentire suonare l’arpa eolia, di nuovo, per vedere chi è arrivato.

Rebecca Romanò

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